Chris McSorley, il nostro ex allenatore
Moderatore: Thor41
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
müller sarà il suo nuovo Bezina, è già il Lugano di McSorley
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
Ho visto che c'è un'intervista su McS sul CdT. Qualcuno avrebbe la possibilità di postarla? Grazie.
- Jean Valjean
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Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
Sorry non ho tempo di editarlo... sarà pagiugato.
Un mese fa il Lugano annunciava il nome del suo nuovo allenatore: Chris McSorley. Il tecnico canadese si è già messo al lavoro con grande passione e voglia di fare bene. Lo abbiamo incontrato, per conoscere meglio l’uomo che si nasconde dietro un allenatore che ha segnato gli ultimi vent’anni dell’hockey svizzero.
Vent’anni fa sbarcava a Ginevra dove l’hockey, a quei tempi, contava poco o nulla. Quanto è cambiato, da allora, l’uomo e l’allenatore McSorley?
«Sono cambiato parecchio semplicemente perché è cambiata la società. Si è evoluta e per un allenatore è fondamentale rimanere al passo con i tempi. Credo che quella di adattarmi alle situazioni della vita sia una delle mie qualità principali. Oggi le relazioni umane con i giocatori contano di più rispetto a vent’anni fa. Un tempo l’allenatore era l’unico attore che leggeva la sceneggiatura: oggi chi scende in pista ne vuole fare parte. I miei obiettivi però sono sempre gli stessi: darò il massimo per l’HC Lugano e proprio per questo pretenderò il massimo anche dal mio gruppo. So perché sono qui: il club avrà tutto da me. Non cercavo un nuovo lavoro, volevo una vera opportunità e il Lugano me l’ha data. Ne sono fiero e orgoglioso: questa per me è una sfida importante, di cui accetto anche la parte di rischio che accompagna ovunque un allenatore».
Se non amasse le sfide, McSorley non avrebbe probabilmente mai accettato l’offerta di un Ginevra che vivacchiava in Prima Lega...
«Ricordo che in occasione del mio primo incontro sulla panchina del Ginevra pensai di essermi sbagliato di posto: sulle tribune c’erano più addetti alla sicurezza che spettatori. Passeggiavo per le vie del centro con uno zaino pieno di biglietti per le partite a venire, che regalavo alla gente. Credo che alle Vernets non abbiano mai esposto uno striscione contro di me proprio per questo: i tifosi prima o poi li ho invitati tutti io (ride di gusto, Ndr)». Con il Servette ho vissuto delle splendide stagioni, ma pure dei momenti difficili. Soprattutto quando, per non far fallire il club, ho deciso di comprarlo nel 2005. Quella sera mia moglie Eva mi disse: «Non so ancora se sei l’uomo più intelligente o più stupido che viva nel mondo dello sport». Ancora adesso, dopo tanto tempo, non lo abbiamo capito. Battute a parte, il ruolo di proprietario di un club è molto più stressante rispetto a quello dell’allenatore: soprattutto a fine mese, quando devi pagare gli stipendi a tutti. Le responsabilità, morali e sociali, sono enormi».
I due allenatori che hanno maggiormente influenzato il mondo dell’hockey svizzero degli ultimi vent’anni sono Arno Del Curto e Chris McSorley. Forse anche perché siete due persone che vivono di passione e di emozioni?
«Wow, Arno. È stato uno dei pochi allenatori capaci di innervosirmi. Alcuni tecnici basano tutto sulla tattica, altri sono bravissimi a giocare con le emozioni. Del Curto è così: ha vinto sei titoli perché è un ottimo allenatore, aveva a disposizione un budget importante, ma ha sempre fatto la differenza con le sue incredibili doti di motivatore. Penso che uno dei miei punti di forza sia quello di fissare degli obiettivi sempre molto ambiziosi e di riuscire a condividerli con i miei giocatori. Anche se, all’inizio, spesso pensano che io sia pazzo. Ma l’hockey è emozione e un coach deve sapere crearle e sfruttarle a suo favore. Noi abbiamo la fortuna di svolgere un lavoro che, di fatto, è un gioco per bambini. Allo stesso tempo però abbiamo responsabilità importanti nei confronti del club e dei nostri tifosi».
Sai qual è il momento peggiore per un allenatore? Quando perdi e ti rendi conto che i tifosi sono tornati a casa tristi e delusi
In un’intervista sua moglie afferma che, a casa, Chris McSorley è una persona tranquillissima. E che i suoi ormai famosissimi scatti d’ira, in panchina, fanno parte del gioco, dello show...
«Sai qual è il momento peggiore per un allenatore? Quando perdi e ti rendi conto che 7’000 tifosi sono tornati a casa tristi e delusi. Nel mio lavoro ho a disposizione sessanta minuti per raggiungere un risultato e il mio obiettivo è quello di utilizzare le armi che ho a disposizione per vincere. Ho sessanta minuti per dimostrare di avere carattere e personalità. È importante per la squadra, per il club, per i tifosi e per cercare di avvantaggiarsi sugli avversari. Quando il pubblico torna a casa, non puoi più cambiare il risultato. Celebrare una vittoria è bellissimo, ma la delusione per una sconfitta dura più a lungo. In questi momenti è fondamentale poter contare su un club pronto a sostenerti, che apprezza il tuo impegno e il lavoro che svolgi. A Lugano sono circondato da persone intelligenti e questo è un ottimo punto di partenza».
Con lei il Ginevra è diventato una delle più belle realtà dell’hockey elvetico. Una squadra che tutti temono, nella regular season e soprattutto nei playoff. Ma Chris McSorley non ha mai vinto il titolo svizzero: è una ferita aperta?
«Ho disputato due finali dei playoff, ma a volte mi dico che forse sarebbe stato meglio non arrivarci, in finale. Perché perdere quando arrivi così vicino all’obiettivo è dura. Molto dura. Ma mi considero un uomo fortunato: ho potuto vivere emozioni intensissime grazie al mio lavoro. E poi non è finita qui: credo che negli ultimi anni sono diventato un coach molto migliore rispetto ai miei inizi. Chi fa sport lo sa: la linea che separa la vittoria dalla sconfitta è molto sottile. Ci riproverò qui a Lugano: il roster a disposizione è ottimo e inoltre il settore giovanile sta portando frutti estremamente interessanti. Non ho mai guardato la carta d’identità di un giocatore e le mie scelte non sono mai state politiche: sul ghiaccio scende chi selo merita, indipendentemente dall’età e dal passaporto».
Ma cosa permette ad una buona squadra di trasformarsi in una formazione vincente?
«L’equilibrio tra diversi fattori. Non puoi costruire una casa con venti falegnami, venti elettricisti e altrettanti idraulici. Devi fare delle scelte, fidarti e assegnare ad ognuno un ruolo preciso. Quando arrivano i playoff, devi poi basarti su quello che hai costruito durante la regular season, aumentando però il livello delle emozioni. A Lugano esiste una cultura delle ambizioni e del successo. Questo aiuta parecchio, non dovrò fare ai miei giocatori un disegno di ciò che ci attende e di quello a cui punteremo».
La vittoria è qualcosa che fa parte del mio DNA
Quale aspetto del lavoro di allenatore preferisce, Chris McSorley?
«Per me il momento più bello è quando, a trenta secondi dal sessantesimo, stai vincendo e hai il puck sul bastone. L’adrenalina del successo è qualcosa di unico e la competizione è la mia droga. È questo che mi è mancato maggiormente durante l’ultimo anno, non le tattiche o le strategie. Si tratta di qualcosa che fa parte del mio DNA e che si è sviluppato fin da piccolo in una grande famiglia come la mia in cui l’hockey è sempre stato presente. Mio fratello Marty – diventato famoso in NHL e a lungo compagno di squadra di Wayne Gretzky – era il peggiore di tutti noi (ride, NdR). Però ha lottato, ha lavorato sodo e i suoi sforzi sono stati premiati».
Ci stavamo dimenticando: come vanno le cose con Danny Kurmann?
«Molto bene (ridem NdR). Ah quante ne sono successe tra Danny e il sottoscritto. Sembrava che fossimo sempre in guerra, anche se il fischietto in bocca l’aveva lui e quindi alla fine non cambiava mai idea. Kurmann è stato un ottimo arbitro e sono molto contento che ora sia il responsabile dei direttori di gara in seno alla Federazione internazionale. È sempre rimasto fedele a se stesso: poteva essere di scena a Berna, davanti a 17’000 spettatori, ma il suo modo di arbitrare non cambiava. Una volta, durante una Coppa Spengler di tanti anni fa, ci siamo seduti insieme in un bar e abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata. Abbiamo scoperto di avere un grande rispetto uno per l’altro: le nostre litigate non sono mai state qualcosa di personale. Ai tempi il Ginevra era un club con un budget piuttosto piccolo: era mio dovere cercare di difenderlo come potevo. Anche provando a influenzare le decisioni arbitrali».
Un mese fa il Lugano annunciava il nome del suo nuovo allenatore: Chris McSorley. Il tecnico canadese si è già messo al lavoro con grande passione e voglia di fare bene. Lo abbiamo incontrato, per conoscere meglio l’uomo che si nasconde dietro un allenatore che ha segnato gli ultimi vent’anni dell’hockey svizzero.
Vent’anni fa sbarcava a Ginevra dove l’hockey, a quei tempi, contava poco o nulla. Quanto è cambiato, da allora, l’uomo e l’allenatore McSorley?
«Sono cambiato parecchio semplicemente perché è cambiata la società. Si è evoluta e per un allenatore è fondamentale rimanere al passo con i tempi. Credo che quella di adattarmi alle situazioni della vita sia una delle mie qualità principali. Oggi le relazioni umane con i giocatori contano di più rispetto a vent’anni fa. Un tempo l’allenatore era l’unico attore che leggeva la sceneggiatura: oggi chi scende in pista ne vuole fare parte. I miei obiettivi però sono sempre gli stessi: darò il massimo per l’HC Lugano e proprio per questo pretenderò il massimo anche dal mio gruppo. So perché sono qui: il club avrà tutto da me. Non cercavo un nuovo lavoro, volevo una vera opportunità e il Lugano me l’ha data. Ne sono fiero e orgoglioso: questa per me è una sfida importante, di cui accetto anche la parte di rischio che accompagna ovunque un allenatore».
Se non amasse le sfide, McSorley non avrebbe probabilmente mai accettato l’offerta di un Ginevra che vivacchiava in Prima Lega...
«Ricordo che in occasione del mio primo incontro sulla panchina del Ginevra pensai di essermi sbagliato di posto: sulle tribune c’erano più addetti alla sicurezza che spettatori. Passeggiavo per le vie del centro con uno zaino pieno di biglietti per le partite a venire, che regalavo alla gente. Credo che alle Vernets non abbiano mai esposto uno striscione contro di me proprio per questo: i tifosi prima o poi li ho invitati tutti io (ride di gusto, Ndr)». Con il Servette ho vissuto delle splendide stagioni, ma pure dei momenti difficili. Soprattutto quando, per non far fallire il club, ho deciso di comprarlo nel 2005. Quella sera mia moglie Eva mi disse: «Non so ancora se sei l’uomo più intelligente o più stupido che viva nel mondo dello sport». Ancora adesso, dopo tanto tempo, non lo abbiamo capito. Battute a parte, il ruolo di proprietario di un club è molto più stressante rispetto a quello dell’allenatore: soprattutto a fine mese, quando devi pagare gli stipendi a tutti. Le responsabilità, morali e sociali, sono enormi».
I due allenatori che hanno maggiormente influenzato il mondo dell’hockey svizzero degli ultimi vent’anni sono Arno Del Curto e Chris McSorley. Forse anche perché siete due persone che vivono di passione e di emozioni?
«Wow, Arno. È stato uno dei pochi allenatori capaci di innervosirmi. Alcuni tecnici basano tutto sulla tattica, altri sono bravissimi a giocare con le emozioni. Del Curto è così: ha vinto sei titoli perché è un ottimo allenatore, aveva a disposizione un budget importante, ma ha sempre fatto la differenza con le sue incredibili doti di motivatore. Penso che uno dei miei punti di forza sia quello di fissare degli obiettivi sempre molto ambiziosi e di riuscire a condividerli con i miei giocatori. Anche se, all’inizio, spesso pensano che io sia pazzo. Ma l’hockey è emozione e un coach deve sapere crearle e sfruttarle a suo favore. Noi abbiamo la fortuna di svolgere un lavoro che, di fatto, è un gioco per bambini. Allo stesso tempo però abbiamo responsabilità importanti nei confronti del club e dei nostri tifosi».
Sai qual è il momento peggiore per un allenatore? Quando perdi e ti rendi conto che i tifosi sono tornati a casa tristi e delusi
In un’intervista sua moglie afferma che, a casa, Chris McSorley è una persona tranquillissima. E che i suoi ormai famosissimi scatti d’ira, in panchina, fanno parte del gioco, dello show...
«Sai qual è il momento peggiore per un allenatore? Quando perdi e ti rendi conto che 7’000 tifosi sono tornati a casa tristi e delusi. Nel mio lavoro ho a disposizione sessanta minuti per raggiungere un risultato e il mio obiettivo è quello di utilizzare le armi che ho a disposizione per vincere. Ho sessanta minuti per dimostrare di avere carattere e personalità. È importante per la squadra, per il club, per i tifosi e per cercare di avvantaggiarsi sugli avversari. Quando il pubblico torna a casa, non puoi più cambiare il risultato. Celebrare una vittoria è bellissimo, ma la delusione per una sconfitta dura più a lungo. In questi momenti è fondamentale poter contare su un club pronto a sostenerti, che apprezza il tuo impegno e il lavoro che svolgi. A Lugano sono circondato da persone intelligenti e questo è un ottimo punto di partenza».
Con lei il Ginevra è diventato una delle più belle realtà dell’hockey elvetico. Una squadra che tutti temono, nella regular season e soprattutto nei playoff. Ma Chris McSorley non ha mai vinto il titolo svizzero: è una ferita aperta?
«Ho disputato due finali dei playoff, ma a volte mi dico che forse sarebbe stato meglio non arrivarci, in finale. Perché perdere quando arrivi così vicino all’obiettivo è dura. Molto dura. Ma mi considero un uomo fortunato: ho potuto vivere emozioni intensissime grazie al mio lavoro. E poi non è finita qui: credo che negli ultimi anni sono diventato un coach molto migliore rispetto ai miei inizi. Chi fa sport lo sa: la linea che separa la vittoria dalla sconfitta è molto sottile. Ci riproverò qui a Lugano: il roster a disposizione è ottimo e inoltre il settore giovanile sta portando frutti estremamente interessanti. Non ho mai guardato la carta d’identità di un giocatore e le mie scelte non sono mai state politiche: sul ghiaccio scende chi selo merita, indipendentemente dall’età e dal passaporto».
Ma cosa permette ad una buona squadra di trasformarsi in una formazione vincente?
«L’equilibrio tra diversi fattori. Non puoi costruire una casa con venti falegnami, venti elettricisti e altrettanti idraulici. Devi fare delle scelte, fidarti e assegnare ad ognuno un ruolo preciso. Quando arrivano i playoff, devi poi basarti su quello che hai costruito durante la regular season, aumentando però il livello delle emozioni. A Lugano esiste una cultura delle ambizioni e del successo. Questo aiuta parecchio, non dovrò fare ai miei giocatori un disegno di ciò che ci attende e di quello a cui punteremo».
La vittoria è qualcosa che fa parte del mio DNA
Quale aspetto del lavoro di allenatore preferisce, Chris McSorley?
«Per me il momento più bello è quando, a trenta secondi dal sessantesimo, stai vincendo e hai il puck sul bastone. L’adrenalina del successo è qualcosa di unico e la competizione è la mia droga. È questo che mi è mancato maggiormente durante l’ultimo anno, non le tattiche o le strategie. Si tratta di qualcosa che fa parte del mio DNA e che si è sviluppato fin da piccolo in una grande famiglia come la mia in cui l’hockey è sempre stato presente. Mio fratello Marty – diventato famoso in NHL e a lungo compagno di squadra di Wayne Gretzky – era il peggiore di tutti noi (ride, NdR). Però ha lottato, ha lavorato sodo e i suoi sforzi sono stati premiati».
Ci stavamo dimenticando: come vanno le cose con Danny Kurmann?
«Molto bene (ridem NdR). Ah quante ne sono successe tra Danny e il sottoscritto. Sembrava che fossimo sempre in guerra, anche se il fischietto in bocca l’aveva lui e quindi alla fine non cambiava mai idea. Kurmann è stato un ottimo arbitro e sono molto contento che ora sia il responsabile dei direttori di gara in seno alla Federazione internazionale. È sempre rimasto fedele a se stesso: poteva essere di scena a Berna, davanti a 17’000 spettatori, ma il suo modo di arbitrare non cambiava. Una volta, durante una Coppa Spengler di tanti anni fa, ci siamo seduti insieme in un bar e abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata. Abbiamo scoperto di avere un grande rispetto uno per l’altro: le nostre litigate non sono mai state qualcosa di personale. Ai tempi il Ginevra era un club con un budget piuttosto piccolo: era mio dovere cercare di difenderlo come potevo. Anche provando a influenzare le decisioni arbitrali».
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
In poco tempo saprà mettere d’accordo tutti e con l’ambiente che c’è alla Resega sarà una figata.
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
Tanta roba...
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
Speriamo che la gente torni alla pista e la curva nord torni ad essere l'uomo in più che era anni fa. Dai ragazzi.
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
Lo so, sono solo parole. E basta. Eppure mi gasano.
Davos, 1. marzo 1986: c'ero anch'io!
Re: Chris McSorley, il nostro allenatore
Sul sito del club é finalmente stato rimosso Pelletier e aggiunto McSorley.
https://www.hclugano.ch/club/staff/
La cosa più rilevante non é comunque questa, bensì il fatto che ci siano ancora Cookson e Di Pietro. Saranno loro gli assistenti?
https://www.hclugano.ch/club/staff/
La cosa più rilevante non é comunque questa, bensì il fatto che ci siano ancora Cookson e Di Pietro. Saranno loro gli assistenti?